Se le prime società di cacciatori/raccoglitori riuscivano a nutrirsi attingendo alle sole risorse messe a disposizione dalla natura, in un tempo successivo questo non fu più sostenibile per una popolazione in continua crescita, e la necessità di procurarsi maggiore quantità di cibo, diede vita, nel tempo, a società dedite all’agricoltura e alla pastorizia: esse erano in grado di produrre il proprio cibo selezionando le risorse disponibili e intervenendo in maniera più attiva sugli equilibri ambientali.
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Il cambiamento da un’economia di “utilizzo” delle disponibilità naturali ad un’economia di produzione, rappresentò una variazione decisiva nel rapporto tra l’uomo, il suo territorio, e nella cultura dell’uomo stesso. Tuttavia, anche dopo l’introduzione delle pratiche agricole in età neolitica, l’uomo continuò a procurarsi il cibo in modi diversi ancora per molto tempo. La prospettiva mentale degli antichi di quei tempi collocarono l’agricoltura come “il” momento di spaccatura, quel salto decisivo che ha determinato la nascita dell’uomo della civiltà separandolo per sempre dalla Natura, dal mondo degli animali e dagli uomini selvatici (indigeni).
I Padroni del mondo
L’addomesticazione di piante e animali in qualche modo consentì all’uomo di elevarsi a “padrone” del mondo naturale, e una volta rinnegata l’importanza di mantenere equilibrio e rispetto imposto dall’ambiente, si è attribuito l’autorità di conquistare sempre più territori da coltivare.
L’invenzione dell’agricoltura, vista l’evoluzione che ha avuto sino ai giorni nostri, si collega ad una immagine di violenza fatta a Madre Terra, sempre più sconvolta dalle opere di irrigazione e dai lavori di sistemazione agraria fatti nel tempo. Violenza che trova conferma sul piano storico per la forte espansione delle società agricole nelle quali si è instaurato un meccanismo di crescita demografica sconosciuta al popolo di cacciatori e raccoglitori, i quali, invece, osservavano un rigoroso regime di controllo delle nascite che permetteva loro di sopravvivere con quel tipo di economia.
Gli studi più recenti ritengono che, con molta probabilità, la diffusione dell’agricoltura non sia avvenuta in più luoghi contemporaneamente, ma sia invece il frutto della crescita di gruppi umani partita da un nucleo collocabile negli altipiani del Vicino (definisce la regione geografica estesa dalla sponda orientale del Mar Mediterraneo all’Altopiano Iranico) e Medio Oriente: la Mezzaluna fertile. E’ da qui che 10000 anni fa ha inizio l’agricoltura, ed è da qui che, poco per volta, si conquistarono i territori nel mondo.

Selezione
Tra le piante furono selezionate le più produttive e nutrienti, e il cereale fu la specie che beneficiò di particolare attenzione, tant’è che in ogni area del mondo, a seconda del clima, si iniziò a coltivare quella specie che meglio si adattava in quel determinato territorio: il grano nella regione mediterranea, il sorgo o il miglio nel continente africano, il riso in Asia, il mais in America.
Attorno a queste piante definite “della civiltà”, si cominciò ad organizzare una vera e propria vita sociale e di governo attraverso rapporti economici, forme di potere politico, immaginario culturale collettivo, rituali religiosi, ecc.. La stessa ideazione della città, percepita dagli antichi come luogo per eccellenza dell’evoluzione civile, non sarebbe stata possibile senza lo sviluppo dell’agricoltura.
E così l’uomo diventa padrone di sé separandosi dalla Natura; iniziò a costruire uno spazio suo in cui abitare, e in questo processo di evoluzione le società umane non sono mai riuscite ad adeguarsi alle condizioni imposte dall’ambiente, anzi, le hanno modificate in modo profondo, introducendo colture al di fuori delle aree originarie trasformando il paesaggio in loro funzione.
Dal crudo nella natura al cotto della cultura
E’ in questo contesto culturale che le prime società agricole, pur rimanendo radicate nei ritmi naturali e nella ciclicità stagionale, prese forma l’idea dell’uomo civile; quell’uomo che produce il proprio cibo, un cibo che non esiste in natura e che segna la differenza tra natura e cultura.
Il pane, ad esempio, non esiste in natura e solo gli uomini sanno farlo, il simbolo, per l’essere umano, della conquista della civiltà; così il pane così il vino e la birra, bevande fermentate che rappresentano il risultato di un sapere complesso che l’uomo ha imparato nel tempo, volgendo a proprio beneficio i processi naturali, dominandoli.

Tradizione o innovazione
Ciò che si chiama cultura viene collocata sul punto al incrocio tra tradizione e innovazione. La tradizione costituisce i saperi delle tecniche e dai valori che sono stati tramandati nel tempo; l’ innovazione costituisce quei saperi, quelle tecniche e quei valori della tradizione che necessitano di un adeguamento in relazione al contesto ambientale nella sua più ambia accezione, ma è solo grazie al sapere tradizionale che si possono sperimentare cose nuove: la corretta innovazione è la giusta trasformazione della tradizione e la cultura si interfaccia tra le due prospettive.
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